Relazione

I cani capiscono le nostre parole (e noi fraintendiamo spesso le loro)

Sapete quanto mi interessi l’aspetto comunicativo della relazione uomo-cane, ne ho scritto anche qualche giorno fa qui, è per questo che oggi sono orgoglioso di ospitare su Dog Coach un articolo di Roberto Nicolai, che è educatore cinofilo e come me lavora in comunicazione.
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Nei giorni scorsi una ricerca pubblicata su Current Biology ha generato molto interesse, al punto da essere stata rilanciata da molti media, anche italiani.
Lo studio ha finalmente dato risposta scientifica ad una domanda che tra “appassionati di cani” è oggetto di dibattito da sempre: “I cani comprendono il linguaggio umano?” ove per linguaggio umano si intende quello verbale: Il significato delle parole che utilizziamo.

dog on the phone

La risposta data dai ricercatori anglosassoni è positiva ed è supportata da test effettuati sui cani e la cosa ha generato un entusiasmo notevole tra i tanti sostenitori (donne in particolare n.d.r.) della teoria “io parlo al mio cane perché lui mi capisce”.
I risultati dimostrano infatti che il cane è in grado di ricevere e decodificare il codice utilizzato dall’essere umano per comunicare: la parola.
Non è un riconoscimento da poco considerando che proviene dall’animale che si autodefinisce come quello dotato della più elevata capacità di intelligere.

Le cose però si potrebbero complicare nel caso in cui qualche ricercatore conducesse una ricerca in senso inverso: l’uomo è in grado di comprendere il linguaggio del cane?

Il cane ha infatti un linguaggio codificato in maniera molto chiara. Non solo, rispetto al suo compagno bipede possiede un vantaggio notevole: il suo linguaggio intraspecifico è universale.
Un cane “italiano” non ha infatti alcun problema nel comunicare con un proprio simile giapponese (cosa che all’uomo risulta spesso abbastanza difficile).

La decodifica che l’uomo fa di questo codice è però curiosa e si presta spesso ai più grandi malintesi nella comunicazione interspecifica all’interno di una relazione che dura da oltre 100.000 anni.

Vediamo allora quale sia, in linea generale, il linguaggio del cane.

Possiamo dividere questo codice in tre grandi macro aree:

– I vocalizzi

In quest’are stanno tutti quei messaggi comunicativi che sono percepiti (non conosciuti!) dall’uomo più facilmente: ringhio, abbaio, guaito e tutti i messaggi espressi da un suono attirano l’attenzione dell’uomo e vengono riconosciuti come elementi comunicativi.
Va detto che, purtroppo, difficilmente questi messaggi vengono compresi nei termini in cui sono stati espressi.
A titolo esemplificativo valgano tutte quelle volte che di fronte ad un abbaio emesso con funzione di avvertimento/allontanamento il bipede di turno decide che sia una buona cosa avanzare verso il cane!
In genere questa trovata viene svolta in una delle due versioni “non ti faccio nulla ho tanti cani amo i cani ecc. ecc.” o “smettila di abbaiare”.

Va detto che sebbene l’uomo dia molta importanza a questa tipologia di codice per il cane rappresenta una parte marginale del complesso sistema di comunicazione di cui è dotato e viene utilizzata solo quando tutti gli altri strumenti del linguaggio sono impossibili da utilizzare o sono ritenuti inefficaci.

– La comunicazione Olfattiva

C’è chi sostiene che il cane sia un naso con le zampe. L’iperbole è funzionale a mettere in evidenza quello che è il senso elettivo del cane: l’olfatto.
Non deve quindi stupire che questo senso sia alimentato da un complessimo sistema di comunicazione che si basa sulla “chimica”.
È molto probabilmente l’area che riveste la maggiore importanza per un cane ma è assolutamente inaccessibile alla decodifica umana per limiti genetici.
Dobbiamo però sempre ricordarci che la comunicazione olfattiva è fondamentale nel mondo del cane. Se non riusciamo a riconoscerla possiamo e dobbiamo comunque rispettarla (ad esempio lasciando al cane il tempo di “comunicare” durante la passeggiata).

– La comunicazione non verbale

In questa area risiede un sistema articolato di codici che i cani utilizzano per comunicare tra di loro. La loro funzione principale è quella di evitare o sedare conflitti, di gestire incontri o rituali e più in generale rappresenta l’alta diplomazia del linguaggio dei cani.

Questa area è semi sconosciuta per non dire totalmente ignorata dall’uomo sebbene sia stata scientificamente decodificata da quasi 30 anni.
Questo deficit di conoscenza da parte dell’uomo innesca involontariamente gran parte dei problemi comportamentali riguardanti i rapporti intra e inter specifici al punto che gran parte del lavoro che molti educatori svolgono consiste nel recuperare nel cane la convinzione che questo codice sia efficace.

L’argomento meriterebbe molti articoli. Diversi sono reperibili in rete cercando, in particolare, gli studi di Turid Rugaas. In questa sede valgano gli esempi sui grandi fraintendimenti nei quali spesso l’uomo, a causa delle sue convinzioni, inciampa nei confronti dei cani.

Il primo è il rimprovero. Molto spesso mi capita di sentire persone che raccontano di quanto il loro cane sia consapevole di aver combinato in guaio a causa dei suoi comportamenti a seguito di un rimprovero: abbassa la testa, guarda altrove, si siede o si mette a terra, gira la testa da un’altra parte ecc. ecc.
Tutti questi segnali sono messi in atto dal cane al fine di “calmare” l’uomo che in quel momento appare a loro decisamente alterato. Il significato è un qualcosa di simile a “non capisco come mai tu sia così arrabbiato ma mi piacerebbe che tu ti calmassi e che stessimo insieme in pace”.
Diversamente l’immaginario umano, sempre alla ricerca di una dimostrazione di sottomissione lo intende come “ho capito sono stato cattivo non lo faccio più”.
A riprova di quanto sostenuto sta il fatto che qualsiasi cane esibirebbe lo stesso comportamento anche se sgridato per un fatto mai avvenuto.

Il secondo è lo psicodramma che si genera quando due cani si incontrano.
Considerate un semplice fatto. Abbassare la testa, utilizzare il collo ed il corpo in genere serve al cane per salutare diplomaticamente il suo simile che si sta avvicinando.
La quasi totalità degli uomini all’avvicinarsi di un altro cane utilizza invece il guinzaglio per “tirare il cane” alzandogli la testa. Questo porta il cane a comunicare l’esatto opposto di quello che voleva fare senza contare che si trova con il corpo immobilizzato (l’equivalente della bocca bendata per un uomo). Non deve stupire che spesso la cosa finisca in un’incomprensione.

È stato quindi dimostrato che il cane capisce, o si sforza di capire, il linguaggio dell’uomo.
Mi auguro che sempre più spesso accada il contrario.

[Roberto Nicolai: lavora in comunicazione e marketing, si divide tra la passione per il digitale -su Twitter è @robinicolai– e quella per la cinofilia. Educatore cinofilo riconosciuto da ThinkDog e dal PDTE. Sito: www.robertonicolai.it]

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